Il professore ha detto ai suoi 27 allievi della 1a F: “Ragazzi, ecco a voi l’autore”. E l’applauso che ne è seguito mi ha messo subito a mio agio.
Ventisette allievi della 1° F (la quarta ginnasio del vecchio ordinamento), dopo aver letto il romanzo Scambi d’Identità, adottato come testo di lettura integrativa nel corso di storia e letteratura, mi hanno riempito di domande in un’ora di colloquio su tecnica del romanzo, psicologia dei personaggi, credibilità scientifica della finzione narrativa, validità storica delle ricostruzioni, riferimenti filosofici e scientifici.
L’ora è volata, gli allievi del professor Luigi Pincini (che ci ha seguiti attento e soddisfatto) hanno partecipato con attenzione e interesse sempre elevati, pur essendo la fine di una mattinata prima del breve ponte del 1° maggio.
Di norma, quando presento un romanzo parlo a un pubblico che per lo più non lo ha letto e la conversazione serve a stimolare l’interesse alla lettura; questa volta lo avevano letto tutti. Era un testo collaterale (storia greca) adottato dal professore, che ha visto l’opportunità per i giovani allievi del Liceo classico di avvicinare un particolare momento dell’Atene del 421 a.C., l’anno della pace di Nicia, attraverso il gioco dell’immaginazione letteraria: uno stimolo a usare la fantasia per interiorizzare alcuni aspetti dell’oggetto di studio e sviluppare, con il suo aiuto, quel senso critico e quella capacità di giudizio che sono il più importante patrimonio di un corso di studi seriamente condotto.
Così, dopo una brevissima introduzione (il professore ha detto: “Ragazzi, ecco a voi l’autore” e l’applauso che ne è seguito mi ha messo subito a mio agio), io ho raccontato come mi è venuta l’idea e perché ho avuto la voglia di scrivere quella storia. Ed ecco, subito dopo, le domande.
Sono rimasto sorpreso dalla pertinenza degli argomenti sollevati, dalla capacità di cogliere non solo nessi con il programma di studio dell’anno, ma anche di entrare nel merito della tecnica narrativa, con quesiti sui caratteri dei personaggi (“Ha avuto modo di ispirarsi a qualche esperienza diretta?”), su aspetti di coerenza strutturale (“Perché nella clinica prima sono molto ostili, poi si mettono a collaborare attivamente con la polizia?”), di coerenza nella finzione narrativa (“Come mai i viaggiatori nel tempo imparano subito il greco antico?” – domanda comprensibilissima tra giovani alle prese con lo studio di quella lingua non certo agevole!), persino di coerenza filosofica.
Mi ha sorpreso (e ha sorpreso anche il loro professore) l’intuizione di un paio di giovani allievi: la protagonista del romanzo, Isabelle, trovandosi nell’epilogo davanti a Gesù, legge nel suo sguardo lo stesso magnetismo che aveva visto in quello dell’eremita che viveva nella grotta dell’acropoli (capitolo 21); i ragazzi sono stati capaci di cogliervi un importante significato semantico: Teotecnide, il nome dell’eremita, unisce le radicali greche di “Dio” e “stirpe”, in altre parole significa “figlio di Dio”, proprio come l’uomo che cacciava i mercanti dal tempio. Devo dire che non ci avevo pensato ideando quel nome. Chissà che la potenza dei significati non trascenda anche l’onnipotenza dello scrittore!
Posso dire di aver trovato al Beccaria di Milano la testimonianza di una grande maturità in questi giovani, per certi versi sorprendente, visti i modelli che circolano con troppa insistenza tra tv generalista ed esasperazioni tecnologiche. Mi auguro che non siano i soli quelli che ho incontrato e che non si perdano per strada, perché ho avuto la sensazione di sentirmi in buone mani e la cosa fa ben sperare per la nostra società.