(RIFLESSIONI SULL’ESSERE, 23 novembre 2017) Proseguono gli approfondimenti di pensiero sulla natura dell’Essere e su quella che ci riguarda tutti noi esseri viventi. La libertà di poter decidere è un privilegio o una maledizione?
Chi di noi non si è chiesto ma perché mai Dio, che è buono e onnipotente e onnipresente e onni altra cosa ancora, perché ci ha donato il libero arbitrio che, considerate le premesse, vedi Paradiso terrestre e beata incoscienza, sembra solo essere la libertà di sbagliare?
Prima che si levino valanghe di croci esorciste al grido di vade retro, voglio chiarire che cerco solo di proporre in maniera diretta un pensiero molto semplice, che sono certo ha sfiorato la mente di tutti, anche dei più devoti.
La domanda è semplice: non si stava tanto bene nel Paradiso terrestre, senza problemi, senza pericoli? E allora perché Dio, che è tanto buono, ci piazza al centro l’albero della conoscenza, con tanto di raccomandazioni al primo uomo e alla prima donna, quello non lo toccate, per il resto fate quello che vi pare. O giù di lì. Perché?
Viene il dubbio. Forse Dio non è poi così tanto buono, magari è un po’ sadico, del resto nel Padre Nostro gli chiediamo di non indurci in tentazione … ma su questo abbiamo già iniziato le riflessioni.
O forse non è onnipotente, non gli è possibile eliminare il male una volta per tutte, o non è onnipresente, e in sua assenza subito alligna il male, o forse … forse è meglio non sforzarsi di cercare in un mito i parametri della nostra realtà.
Quello del Paradiso terrestre è un mito, con tutto ciò che comporta, di positivo e di meno positivo. I miti sono alla radice dei valori etici di una società umana, sono elementi fondanti identità. Non vuol dire che siano favole e allo stesso tempo non vuol dire che siano cronache. I miti vanno capiti e interpretati. Se vogliamo, vanno sentiti e interiorizzati. Perché possono comunicare anche oltre i significati letterali.
Ho parlato di implicazioni positive e meno positive. Gli aspetti negativi dei miti sono, a mio avviso, nei dogmi che finiscono col generare: cose a cui bisogna attenersi punto e basta, senza se e senza ma. Peccato che dietro ai dogmi si celino troppo spesso giochi di potere e realtà ben più meschine delle sublimità che si vorrebbe millantare. La forza positiva di un mito è, al contrario, la capacità di forgiare modelli morali ai quali ispirarsi.
Così è per il mito del Paradiso terrestre, che per molti vorrebbe giustificare le società patriarcali che demonizzano la donna, causa prima di peccato, e legittimare presunte superiorità di status, per non parlare del senso di colpa e lo spauracchio di inenarrabili punizioni per sottomettere i più deboli. In questo caso non è sbagliato il mito, è sbagliato l’uso che se ne fa.
Se vogliamo leggerlo in chiave positiva, il mito del Paradiso terrestre rappresenta il sogno ideale di ciascuno di noi esseri umani: una condizione di beato benessere avvolti da un ambiente gradevole e amico. L’utero materno, prima che la nascita ci sbattesse in faccia la realtà. La nascita è, in fondo, come la cacciata dal Paradiso di Adamo ed Eva. E l’albero della conoscenza rappresenta la nostra capacità di essere consapevoli. Una capacità che è ontologica, ineludibile. Non è un dono che Dio ha dato perché ha deciso in tal senso, e volendo avrebbe potuto decidere altrimenti.
Secondo le idee raccolte nel saggio L’Essere, la nostra natura di “Quanti di Consapevolezza Universale” – cioè componenti strutturali della mente dell’Essere – è la finalità stessa del processo evolutivo insito nella cosmobiologia, come sostengono Fiscaletti e Sorli. Ciascuno di noi è un mattone della mente di Dio, ma per poter svolgere questo ruolo ciascuno di noi deve essere “consapevole”. E la consapevolezza implica automaticamente il libero arbitrio. Si tratta di un nesso logico dei più semplici: se sei in grado di scegliere, sei libero. Tutti gli esseri umani sono liberi perché ogni loro azione è frutto di una scelta. Giusta o sbagliata che sia.
Quindi non esiste un Dio sadico che si diverte a metterci alla prova. Esiste un Essere infinito e atemporale, che possiamo chiamare Dio in tutta serenità, che condivide con noi i nostri momenti di gioia e di dolore, di angoscia e di serenità, di rabbia e di gratificazione, di odio e di amore. Perché Egli è parte di noi come noi siamo parte di lui.