- di mauroadmin
Il gioco di parole, in italiano, è usato da scienziati, psicologi e da cultori di discipline orientali. L’invito è a non credere troppo alle certezze che ci siamo costruiti nel tempo o che siamo abituati ad accettare in base alle informazioni che ci sono fornite dai nostri sensi. “Credo solo a quello che vedo” è una dichiarazione d’ignoranza e, quel che è peggio, una preclusione a provare a capire e conoscere una realtà che, al di là dei sensi, sembra sfuggire. Basti pensare che tutto quello che vediamo non è quello che esiste, ma una ricostruzione di quello che dovrebbe esistere fatta da alcune parti del nostro cervello con una risoluzione ad altissima fedeltà, molto meglio di qualsiasi effetto speciale del grande schermo. È sufficiente un difetto o interferenza nel percorso percezione-sensazione per alterare la nostra convinzione della realtà. Com’è ancora attuale il grande filosofo greco Socrate quando sostiene di essere il più sapiente degli uomini, l’unico che sa di non sapere nulla! Tempo fa, a una seduta di yoga, mi trovavo seduto nella posizione a gambe incrociate, dopo una serie di esercizi per renderla sopportabile e l’insegnante ci invitava a vedere “oltre il buio dei nostri occhi chiusi”. Non ho mai forato lo schermo scuro che mi cela la realtà, secondo una certa e affascinante idea del pensiero orientale, non mi si è mai aperto il terzo occhio; ho solo percepito macchie di colori cangianti alle quali la mia mente si affannava ad attribuire significati: un caleidoscopio naturale che tutti noi possiamo osservare, usato come macchie di Rorschach. Che il mio cammino iniziatico sia ancora troppo lungo, o sono tutte balle, ed è vero solo quello che vedo e tocco con le mie mani? Eppure, se rifletto sulla materia, sui misteri della meccanica quantistica (non ci capisco nulla, però mi affascina), sulle intriganti questioni delle distorsioni di spazio e tempo e delle onde gravitazionali, che ci fanno vibrare i geni come un budino, mi rendo conto che i nostri sensi sono troppo limitati e la nostra mente, forse, inadeguata. Come chissà quanti di voi, mi sento sballottato tra scetticismo e ricerca di qualcosa che, in fin dei conti, potrei chiamare fede. Se c’è qualcosa di bello in questo non avere certezze è che mi fa sentire un po’ più vicino a Socrate. Se non altro sto in buona compagnia.