La mia collaborazione con la rivista trimestrale dei frati del Beato Sante di Mombaroccio comincia con un’intervista al parroco della frazione di Montegiano, che nel 2017 ha festeggiato cinquant’anni di vita pastorale nella parrocchia affacciata sulla valle del Metauro. Il colloquio rievoca un mondo che sembra appartenere a epoche che sentiamo troppo lontane, eppure vissute dalla stessa persona. Nello stesso numero pubblico un servizio sul restauro del campanile e uno sul ritorno nel Santuario della statua settecentesca del Beato.
Il primo luglio 1967 don Nestore Galli fu nominato parroco a Montegiano. Lo incontriamo nella sua parrocchia, per condividere con lui alcuni ricordi e qualche momento di saggia riflessione. “La persona si recupera con l’istruzione. Non è vero recupero solo l’abito nuovo, se non sai cosa c’è sotto.” “Comunicare col Padreterno non fa mai male. Io ci scherzo tutti i giorni.”
Cinquant’anni possono essere tanti o pochi. Dipende. Per la vita di un uomo sono sicuramente una lunga stagione. Così come per la comunità nella quale l’uomo vive. Soprattutto se di quella comunità è il parroco. Parliamo di don Nestore Galli e della sua parrocchia a Montegiano, che egli cura dal 1 luglio 1967.
Dai lontani anni sessanta ai nostri giorni i suoi occhi hanno accompagnato gli abitanti della frazione di Mombaroccio che guarda alla valle del Metauro. Dai primi vagiti delle ribellioni giovanili dell’imminente ’68 all’età ipertecnologica che potrebbe preludere, paradossalmente, a una nuova età di mezzo. Il primo luglio di quest’anno sono appunto cinquant’anni.
Don Nestore mi riceve nella sua parrocchia in un tiepido pomeriggio di marzo. Arriva guidando la sua automobile, agile e sicuro come se non avesse ottantatre anni. Mi saluta con un sorriso aperto, come sempre, come tutte le volte che ho avuto modo di incontrarlo. Il sorriso è il suo modo di rapportarsi agli altri. Mi accompagna nel suo studio, pieno di carte, libri e documenti ovunque, sul tavolo, sugli scaffali, sul divano. Silenziosa testimonianza di un’attività che non ha soste.
Com’era Montegiano in quel luglio di cinquant’anni fa? È cambiata molto?
“Era una zona agricola” risponde don Nestore “le strade polverose da far paura, le case più o meno come oggi, ma tutte abitate, la campagna era piena.”
C’erano forse settecento abitanti, contro i quattrocento di oggi, eppure la parrocchia era a rischio.
“Volevano sopprimere la parrocchia, ma io mi sono detto: ‘Montegiano non deve morire!’ e per mantenere la parrocchia ho preso un po’ di Serrungarina. Ma un altro rischio era dietro l’angolo: poiché Mombaroccio è nella Diocesi di Pesaro, si voleva cedere la parrocchia alla diocesi del Comune. Si incontrarono i due Vescovi, Cecchini di Fano e Michetti di Pesaro” ricorda don Nestore “io ero presente. Parlarono tra loro, poi sembrò che avessero trovato un accordo: ‘prendi le pecore e il pastore’, disse il Vescovo di Fano al suo collega di Pesaro, ma quando mi chiesero il mio parere, io risposi che potevano prendersi le pecore, ma il pastore non ci stava.” Il parroco mi guarda con intensità. “Io sono di Fano, perché devo andare sotto Pesaro?”
Nestore Galli è nato nella campagna fanese il 29 giugno del 1933, in una famiglia di mezzadri. Ha studiato a Roma, in Laterano dove si è laureato (si dice “licenziato”) nel ’59 in Sacra Teologia; nello stesso anno è stato ordinato a Fano, dove ha fatto il viceparroco in duomo per poi andare a fare il parroco, prima a Barchi (dal ’63 al ’67) e poi a Montegiano. Strade polverose a parte, il suo desiderio era entrare in contatto con la popolazione.
“I primi tempi, per vedere la gente andavo all’osteria a giocare a carte.” Il contatto c’era, ma le chiavi di accesso erano limitate. “Si parlava sempre di animali” commenta don Nestore con affetto. L’uomo pastore comprese il bisogno di molti nel suo gregge, avere un aiuto per recuperare capacità e acquisire strumenti culturali che potessero aiutarli nel mondo che stava velocemente cambiando. Per questo ha aperto a Fano un centro per il recupero della persona, per far ottenere ai ragazzi e ai lavoratori i titoli di studio necessari al loro futuro. “Perché” chiosa don Nestore “la persona si recupera con l’istruzione. Non è vero recupero solo l’abito nuovo, se non sai cosa c’è sotto.”
Gli chiedo cos’altro ricorda della sua lunga stagione pastorale.
“Ho fatto di tutto per far chiudere la scuole pluriclasse.” Cioè quella situazione diffusa nelle campagne che mette, per economia, tutte le classi elementari nella stessa aula, con lo stesso insegnante. “Come si fa ad avere cinque classi tutte insieme?” si chiede ancora scandalizzato don Nestore. Però moltiplicare le classi generava problemi logistici, bisognava spostare i ragazzi, anche lontano e le famiglie erano in difficoltà. Ma don Nestore non si perse d’animo: “Sono stato il pioniere del trasporto dei bambini. Con la mia seicento facevo il giro della frazione, ne caricavo anche una decina per portarli a scuola. Eravamo in tre a svolgere il servizio, con me c’era Iaccucci e c’erano i frati del convento del Beato Sante. Dopo le macchine private ci dotammo di un pullmino, finché, Sindaco Enzo Baiocchi, l’amministrazione comunale a guida PCI iniziò il servizio pubblico degli scuolabus.”
Don Nestore Galli, il pastore e le sue pecorelle. “Cerco un rapporto con la gente sempre improntato all’umanità con tutti, dal più umile al più importante. Mi sforzo di pormi sullo stesso piano della persona che ho di fronte.” Un lavoro quotidiano che non è semplice, per un uomo che si è scelto di non facile compito di essere interlocutore tra la sua gente e il Signore. Anche su questo argomento, delicato e impegnativo, don Nestore sorprende con elegante semplicità: “Comunicare col Padreterno non fa mai male. Mi dà gusto parlare con Lui, perché ci scherzo tutti i giorni.” Poi il sorriso di fa intenso, quasi serio. “Gli dico sempre: dammi la forza per continuare, ma se pensi che non sono più utile, fammi chiudere.”
Intanto, il primo luglio, andremo a Montegiano a festeggiare i suoi cinquant’anni di servizio pastorale.